
La sollevazione di marzo 1955
Nel marzo del 1955, il movimento nazionale palestinese ottenne una vittoria significativa contro i piani di pulizia etnica e reinsediamento dei palestinesi a Gaza. La mobilitazione popolare, guidata dal Partito Comunista Palestinese (PCP), scaturì da un’intensa attività di organizzazione e agitazione. Il 21 gennaio 1955, il PCP pubblicò un opuscolo che denunciava pubblicamente i dettagli del piano e preparava il terreno per una sollevazione organizzata. Le manifestazioni successive coinvolsero ampi settori della popolazione di Gaza, con migliaia di palestinesi che si opposero al progetto e rivendicarono il proprio diritto all’autodeterminazione e al ritorno. Tra i caduti figurano anche diversi esponenti e quadri del “lavoro di massa”, come Bilal Husni, operaio tessile e quadro del PCP, e Yousef Adib Taha, giovane esponente dell’Organizzazione della Gioventù Comunista. La sollevazione, la cui scintilla fu un massacro compiuto dalle forze israeliane contro civili palestinesi, segnò una svolta storica per il movimento di liberazione nazionale.
In occasione del settantesimo anniversario di questa sollevazione, pubblichiamo un approfondimento a cura dello storico e intellettuale palestinese Maher al-Sharif. Questo contributo risulta cruciale per comprendere la continuità della politica israeliana di pulizia etnica, soprattutto alla luce degli sviluppi recenti. Infatti, a seguito dell’avvio della prima fase del cessate il fuoco, dopo oltre un anno e mezzo di genocidio a Gaza, la nuova amministrazione USA ha rilanciato un piano che mira alla liquidazione della causa palestinese, proponendo il reinsediamento dei palestinesi da Gaza verso l’Egitto e la Giordania. È dalla convinzione che, per potersi orientare nel presente, occorra anche interpretare e comprendere la storia, che proponiamo questa lettura.
La sollevazione del 1955 a Gaza
La sollevazione del marzo 1955 fu organizzata congiuntamente da comunisti e islamici per opporsi al piano tra l’ONU e l’Egitto volto a trasferire i rifugiati della Striscia di Gaza nel deserto del Sinai nord-occidentale. Sostenuta ampiamente dalle masse e chiara nelle sue richieste, la sollevazione riuscì a porre fine al progetto di reinsediamento.
Contesto
All’inizio del 1948, la popolazione totale della Striscia di Gaza era di circa 80.000 persone. Alla fine dell’anno, la popolazione aumentò di più del triplo poiché quasi 200.000 rifugiati provenienti da varie città e villaggi palestinesi confluirono nella Striscia durante e dopo la guerra di Palestina. I rifugiati furono distribuiti in otto campi. Dopo la firma dell’Accordo di armistizio Egitto-Israele, il 24 febbraio 1949, il controllo della Striscia fu assegnato ad un governatore militare egiziano, che godeva degli stessi privilegi del Commissario britannico prima della Nakba.
L’anno 1953 segnò l’inizio delle vaste incursioni condotte dalle forze israeliane contro i campi profughi palestinesi nella Striscia di Gaza, nel tentativo di porre fine agli attacchi contro gli insediamenti israeliani adiacenti ai confini della Striscia. Nella notte del 28 agosto dello stesso anno, un’unità militare israeliana attaccò il campo profughi di al-Bureij, provocando la morte di circa 50 civili, secondo alcune fonti. In risposta a questo attacco, visto come un tentativo di smantellare i campi per facilitare i progetti di reinsediamento, si svolse una grande manifestazione popolare che partì dalla scuola superiore del campo di al-Bureij. I manifestanti chiesero la formazione di una guardia nazionale palestinese per proteggere i confini e a garanzia delle libertà.
Nel 1953, il governo egiziano, salito al potere con la Rivoluzione egiziana del 1952, stava ancora cercando di definire la propria politica estera, mentre affrontava problemi interni. In questo contesto accettò un piano per trasferire 12.000 famiglie di rifugiati dalla Striscia di Gaza in terreni nel deserto del Sinai nord-occidentale (dopo aver risanato la terra deviando porzioni d’acqua del Nilo su base annuale). Il piano, negoziato tra il governo egiziano e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Profughi Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), vide il sostegno dell’amministrazione statunitense che stabilì di destinargli 30 milioni di dollari. Questo progetto fu considerato uno dei più pericolosi tra quelli di reinsediamento dei rifugiati palestinesi, poiché includeva un piano dettagliato per la sua attuazione e dimostrava la determinazione del governo egiziano e dell’UNRWA a portarlo a termine.
Il raid israeliano del 28 febbraio
All’inizio del 1954, il Segretario di Stato americano John Foster Dulles sperava di ottenere il sostegno dei diversi paesi del Medio Oriente a un piano generale per contrastare l’Unione Sovietica; partiva da questo presupposto il tentativo di risoluzione delle tensioni nella regione, specie quelle tra Egitto e Israele. Dopo aver contribuito, insieme all’amministrazione Eisenhower, a negoziare il ritiro delle truppe britanniche dalla zona del Canale di Suez, l’amministrazione statunitense sviluppò un piano di pace dettagliato tra Egitto e Israele, noto come “Piano Alpha”.
Tuttavia, gli espansionisti israeliani non erano disposti a procedere verso un accordo di pace con l’Egitto. Questo atteggiamento fu confermato dalla cosiddetta “farsa di Lavon”, un episodio in cui il Ministro della Difesa israeliano Pinhas Lavon organizzò una rete di spionaggio in Egitto, incaricandola di compiere atti di sabotaggio contro obiettivi egiziani, britannici e americani, al fine di creare instabilità in Egitto e spingere il governo britannico a mantenere le sue truppe nella zona del Canale di Suez.
La situazione precipitò ulteriormente quando il nuovo Ministro della Difesa israeliano, David Ben-Gurion, portò avanti, in linea con la propria politica, un devastante raid sulla Striscia di Gaza, il più violento dall’accordo di armistizio. La sera del 28 febbraio 1955, un’unità di paracadutisti israeliani attaccò un campo militare egiziano vicino alla stazione ferroviaria di Gaza City, uccidendo diciassette soldati nel sonno. In seguito tese un’imboscata a una forza egiziana accorsa per soccorrere i soldati dell’accampamento, causando ulteriori vittime e portando il totale a trentotto morti e trentatré feriti tra le fila egiziane. Su richiesta del governo egiziano, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riunì e, il 29 marzo 1955, emise la risoluzione 106, condannando l’attacco israeliano alla Striscia di Gaza.
La risposta popolare
Le proteste popolari contro il progetto di trasferimento nel Sinai iniziarono già nel maggio 1953, quando i giornali egiziani accennarono per la prima volta al piano. Tuttavia, il 1º marzo 1955, subito dopo l’assalto israeliano alla Striscia di Gaza, una manifestazione di massa si svolse presso la Scuola Palestinese Ufficiale di Gaza. Le parole d’ordine principali furono: “No al reinsediamento, no agli agenti degli statunitensi”, e “L’accordo del Sinai scritto con l’inchiostro, lo cancelleremo con il sangue”. Le forze di polizia egiziane aprirono il fuoco sui manifestanti, uccidendo Hosni Belal, un lavoratore tessile rifugiato.
Le proteste si diffusero in tutta la Striscia, da Beit Hanoun a nord fino a Rafah a sud, con manifestanti che incendiarono veicoli ufficiali e attaccarono edifici delle Nazioni Unite e magazzini dell’UNRWA. Le mobilitazioni furono coordinate dall’Alto Comitato Nazionale, formato da rappresentanti del Partito Comunista, dei Fratelli Musulmani e indipendenti, che si riuniva nella sede del sindacato degli insegnanti delle scuole dell’UNRWA. Furono scelti delegati in ogni campo profughi e formati comitati a difesa delle proteste.
I rappresentanti dell’Alto Comitato Nazionale, tra cui il segretario generale del Partito Comunista Palestinese, Mu’in Bsisu, e un membro della dirigenza dei Fratelli Musulmani, Fathi al-Balawi, incontrarono il capo della sicurezza della Striscia di Gaza, Saad Hamza, per presentare le richieste dei manifestanti: annullamento del progetto di trasferimento, armamento dei palestinesi nei campi per la difesa contro i raid israeliani, libertà civili e garanzie contro le rappresaglie sui manifestanti.
Il governatore generale della Striscia di Gaza, il generale Abdullah Refat, fuggì inizialmente ad Al-Arish durante le proteste, ma tornò successivamente per organizzare una campagna di arresti. Nella notte tra l’8 e il 9 marzo 1955, furono arrestati numerosi membri dell’Alto Comitato Nazionale, insegnanti, studenti e lavoratori, che furono trasferiti nel carcere centrale di Gaza e poi nella prigione generale egiziana. Furono rilasciati solo all’inizio di luglio 1957. Refat sciolse anche il sindacato degli insegnanti delle scuole dell’UNRWA e impose severe sanzioni contro chi incitava a scioperi o presidi.
Esiti della sollevazione
L’assalto israeliano e le proteste che seguirono rappresentarono una svolta nella politica egiziana. In un discorso agli studenti del Collegio Militare, il presidente egiziano Jamal Abdel Nasser dichiarò che l’attacco israeliano a Gaza avrebbe segnato un punto di svolta nella storia dell’Egitto e della regione.
In seguito a questa dichiarazione, precisamente il 27 settembre 1955, l’Egitto firmò un accordo per l’acquisto di armi sovietiche dalla Cecoslovacchia, rompendo così il monopolio occidentale sulle forniture militari. Questo accordo fu un evento storico, poiché rappresentò la prima volta che un paese del Medio Oriente si rivolse al blocco sovietico per armamenti, sfidando l’influenza occidentale nella regione.
Il governo egiziano, inoltre, iniziò a investire in operazioni di guerriglia con base nella Striscia di Gaza, formando unità di combattenti palestinesi come il “Battaglione 141”, guidato dal colonnello Mustafa Hafez. Le operazioni del battaglione, iniziate nel settembre 1955, inflissero pesanti perdite alle forze israeliane in pochi mesi. Le operazioni del battaglione continuarono fino a quando il capo delle operazioni, Mustafa Hafez, fu assassinato dai servizi segreti israeliani nel luglio 1956.
Dopo l’occupazione della Striscia e del Sinai da parte di Israele nel giugno 1967, gli israeliani ripresero i piani di trasferimento dei rifugiati, ma la questione del rimpatrio rimase in ballo fino alla creazione dell’Autorità Palestinese nel 1993.
Maher al-Sharif